E’ ormai buio; con l’ausilio della lampada frontale, mi addentro nel silenzio della taiga svedese. A metà aprile, la neve comincia a sciogliersi liberando dall’oppressione del suo peso i cespugli di erica e gli spugnosi tappeti di muschio; finalmente l’inverno passa la mano e il respiro della primavera sparge prodigiosamente sul bosco tutti i colori del verde.
La neve rimasta è resa compatta dal gelo delle notti boreali e rende il cammino meno faticoso.
Arrivato nel punto prescelto, monto la tenda e mi preparo per la notte nella foresta. Alle 22, puntuali come un orologio, i galli cedroni giungono ai loro posatoi: non li vedo, ma sento un poderoso battito di ali sopra la mia testa: arrivano sempre alla stessa ora e sostano sugli alberi in attesa del giorno dopo. Mi sveglio che è ancora buio, apro la cerniera della tenda di pochi centimetri, quel poco che serve per scorgere due maschi in piena attività a pochi metri dalla mia postazione.
Sono spettatore privilegiato di un rito il cui fascino mi ha attirato fin qui, nel nord della Svezia, a molte migliaia di chilometri da casa. Ogni mattina, alle prime luci dell’alba, negli angoli più remoti del bosco si danno un tacito appuntamento un gruppo di Galli Cedroni o, come anche vengono chiamati, di Urogalli; il posto è sempre quello e il copione si svolge immutabile dall’ultima glaciazione. Un rituale segreto che evoca e rinnova i miti e le leggende della montagna.


I maschi si muovono veloci nelle tenebre e nel silenzio della foresta, contendendosi il diritto di perpetuarsi in una  discendenza ormai sempre più incerta. Il chiarore dell’alba rende, con il passare del tempo, la scena più decifrabile e riesco a vedere un maschio in parata che recita instancabile sempre la stessa strofa. Questo verso, che assomiglia molto a quello prodotto dall’estrazione del tappo di una bottiglia di spumante, risuona in vari punti del lek: stamattina sono tre i maschi che si contendono la scena. La maggior parte della parata si svolge in una luce fioca, dando al fotografo generalmente  45 minuti di luce accettabile durante i quali sperare che la scena “giusta” si svolga proprio di fronte alla sua postazione. Per una buona foto è necessaria molta fortuna: il più delle volte l’opportunità favorevole si profila quando la luce è troppo scarsa o in un luogo nascosto o lontano dal fotografo..Ed infatti poco lontano sento un incredibile frastuono: sono due Urogalli in combattimento, ma purtroppo non riesco a vedere nulla: la posizione non è favorevole e non intendo sporgermi dalla tenda per non disturbarli. Poi, d’improvviso e magicamente, il bosco si riappropria del suo silenzio. Attendo ancora qualche minuto, ma la prima sensazione è quella giusta: i contendenti sono volati via, ma domani, c’è da stare sicuri, riprenderanno possesso del loro territorio e il sipario si riaprirà per una nuova e immutabile rappresentazione.
Il Gallo Cedrone è purtroppo in regresso in tutto il suo areale a causa di molteplici motivazioni legate ai cambiamenti climatici e altresì alla sua scarsa adattabilità rispetto alle variazioni sempre più incisive che interessano il suo ambiente. Quest’ultimo infatti deve rispondere a canoni ben precisi. Innanzitutto il suo home range è pari mediamente a 550 ha (Storch 1995 ); inoltre ha bisogno che i siti di corteggiamento, di nidificazione, di allevamento, di pastura e di svernamento rispondano a ben determinate caratteristiche, soddisfatte generalmente dalla presenza di boschi misti naturali disetanei con piccole radure e ricco sottobosco.
Le conifere in inverno diventano fondamentali in quanto nella cattiva stagione l’unico nutrimento è rappresentato dagli aghi di pino o di abete.
D’estate invece è importante la presenza di un sottobosco ricco di ericacee che, oltre a garantire un’efficace protezione visiva, consenta di accedere ad un nutrimento vario e abbondante.
Durante i sei giorni passati in Svezia, ne ho dedicati quattro al Gallo Cedrone e due al Gallo Forcello. Le condizioni sono tuttavia completamente diverse. Innanzitutto le arene dei Galli Forcelli tendono ad essere localizzate in luoghi completamente aperti e spesso anche i laghi ghiacciati sono utilizzati allo scopo. Generalmente i problemi di carenza di luce sono molto più limitati e inoltre il numero degli esemplari presenti nell’arena è enormemente più alto.
Nel lek da me frequentato erano presenti mediamente 40 maschi. Anche le abitudini sono diverse: i galli forcelli arrivano nel lek il pomeriggio, quando la luce, radente e ancora forte, concede buone opportunità fotografiche. Al calare della notte gli uccelli si allontanano per tornare fra l’una e le due di notte. Non c’è pericolo di non svegliarsi in tempo per lo spettacolo, dato che il richiamo di 40 maschi in amore è letteralmente assordante. Durante i due giorni in cui sono stato presente, il lek è stato visitato dalle volpi, dalle gru e dalle alci. Sebbene il periodo concessomi sia stato brevissimo ho avuto modo di notare, come i singoli maschi difendano strenuamente la loro minuscola fetta di territorio. Infatti di fronte alla mia tenda ha stazionato sempre lo stesso maschio, inconfondibile a causa di una profonda cicatrice alla testa; e ho visto sempre lo stesso maschio nelle foto che altri compagni d’avventura hanno fatto nei giorni successivi. Nonostante gli innumerevoli tentativi di spodestarlo, è stato sempre assolutamente inamovibile! Le aree più interne dell’arena sono quelle più ambite. I maschi che le detengono sono generalmente i più vigorosi e  danno pertanto alle femmine sufficienti garanzie circa la “qualità” dei loro geni.
I Galli Forcelli sono molto meno “sensibili” dei Galli Cedroni rispetto ai movimenti del fotografo: ci si può sporgere anche parecchio dal capanno senza che ne siano minimamente disturbati; anzi si corre il serio rischio che entrino addirittura nel capanno stesso…
Fotografare questi splendidi Tetraonidi mi ha dato l’opportunità di poter respirare i silenzi ovattati delle albe nella foresta imbiancata, di poter osservare la natura assecondandone i suoi ritmi, di attendere l’occasione  giusta apprezzando anche l’attesa. Tutto ciò in linea con le mie intenzioni di vivere più un’esperienza naturalistica che fotografica.
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